L’emigrazione dal Molise

Fra la fine del Settecento ed i primi decenni dopo l’Unità una profonda trasformazione investe l’assetto socio-economico e territoriale di tutta l’Italia meridionale1. Il fenomeno, oltre che essere letto in un’ottica di lungo periodo, va messo in relazione con le forti dipendenze dai mercati nazionale ed internazionale2, ma soprattutto con l’incapacità del Mezzogiorno a sostituire “ai vecchi stabili rapporti commerciali fondati sulla geografia, rapporti commerciali stabili fondati sull’economia” 3. E’ nel periodo individuato che può essere collocato quel nucleo problematico che alcuni studiosi individuano come il dualismo originario fra Nord e Sud e che pone l’Italia nelle condizioni del late comer4.
Lo squilibrio e la crisi dell’Italia meridionale, nonostante la sua ampiezza, trovano radici essenzialmente nelle particolari condizioni dell’agricoltura. L’attività agricola prevalente nel Molise era la cerealicoltura, quasi una monocultura5, nonostante le bassissime rese dei terreni, in gran parte inadatti, e la mancanza, quasi completa, di rotazioni agrarie6. Le rese per ettaro, tra le più basse del Meridione, e l’eccessiva pressione demografica sulla terra annullavano i già scarsi utili dei contadini affittuari, ma soprattutto dei braccianti7. Tale condizione caratterizzava in particolare le zone montuose, dove la coltura, soprattutto cerealicola, veniva praticata su terreni estremamente frazionati. Sia i contadini affittuari sia i piccoli proprietari non riuscivano nemmeno a ricavarci il minimo di sussistenza8.
Gli aspetti più significativi della crisi meridionale e molisana, pertanto, si possono individuare “nell’espansione incontrollata della cerealicoltura9 e più in generale nell’espansione delle terre messe a coltura a discapito del pascolo e quindi della pastorizia transumante; nella […] crisi dell’economia pastorale […]; nel degrado dei quadri naturali ed ambientali legato alla distruzione dei boschi […] e […] nel rafforzamento dei settori più restii a favorire un processo di ammodernamento delle strutture produttive” 10. Nell’intera regione molisana intervengono quegli elementi di trasformazione degli assetti colturali e produttivi, di mutamento delle forme di utilizzazione del suolo e di applicazione delle tecniche agrarie, di cambiamento delle condizioni di lavoro e vita e di modifica del regime alimentare di gran parte della popolazione11.
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Le migrazioni dalla Puglia in età moderna e contemporanea

La marginalità della Puglia nelle grandi fasi dell’emigrazione nazionale e meridionale, il suo ruolo appartato, ad esempio nella transizione tra XIX e XX secolo, con valori migratori per così dire fisiologici sino alla metà degli anni Ottanta e poi, con il principiare del nuovo secolo, con valori non più trascurabili in cifre assolute, pur tuttavia dimezzati, all’incirca sino al 1910, rispetto al dato meridionale, possono forse spiegare la persistente indifferenza della storiografia ad indagare tempi ragioni e modalità delle migrazioni1.
Sino a tutti gli anni Settanta ad interessarsi di emigrazione non vi sono che gli studi di Franca Assante, lavori di certo importanti per la capacità di aprire la strada ad indagini successive, ma di fatto sintesi storico demografiche che, sulla base di fonti statistiche e documentarie formali e oggettive, dalla letteratura e pubblicistica d’epoca alle inchieste parlamentari, legano le ragioni delle migrazioni ai caratteri strutturali ed ai cicli dell’economia agricola locale, ne leggono gli effetti indotti di invecchiamento e di femminilizzazione della popolazione nelle aree di partenza ma anche di complessivo arretramento di quelle economie locali che proprio dall’emigrazione avrebbero potuto trarre spinte modernizzatici2.
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