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Amy Bernardy e il primo congresso di etnografia

Il Cinquantenario dell’Unità d’Italia (1911) e l’emigrazione

a cura di Giovanni Pizzorusso

Maddalena Tirabassi

 

Amy Bernardy e il primo congresso di etnografia

 

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Nel 1911, mentre tutti gli sforzi del giovane stato italiano erano concentrati sulle celebrazioni del primo cinquantennio della nazione per unificare anche culturalmente l’Italia – per portare a compimento cioè il progetto di “fare gli italiani” – un piccolo gruppo di intellettuali, radunati attorno alla scuola fiorentina di Lamberto Loria e Ferdinando Martini, introduceva in Italia l’etnografia1. La nuova disciplina si proponeva di studiare le molteplici tradizioni regionali e locali che costituivano i costumi popolari italiani. Un’operazione che, puntando l’attenzione più sulla diversità che sull’omogeneità italica, andava apparentemente controcorrente, ma che venne riassorbita nei decenni successivi nel discorso statuale. L’esame del ruolo di Amy Bernardy in questo processo consente di approfondire tale momento poco noto della storia italiana che tocca un nodo destinato a riproporsi fino ai giorni nostri.

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Appunti per una ricerca sui giornali nautici dei piroscafi italiani fra Otto e Novecento

Carlo Stiaccini

 

Appunti per una ricerca sui giornali nautici dei piroscafi italiani fra Otto e Novecento

 

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1. – Racconti di viaggio

Negli ultimi trent’anni il tema del viaggio per mare si è guadagnato uno spazio sempre maggiore nel campo degli studi sul fenomeno migratorio italiano. A partire dal pionieristico lavoro di Ercole Sori, dove forse per la prima volta si segnalava, pur senza farne uso, l’importanza dei documenti di bordo dei piroscafi per la ricostruzione storica delle migrazioni transatlantiche, diversi importanti lavori hanno via via esaminato gli aspetti legati al trasporto marittimo, alle compagnie di navigazione e più in generale ai risvolti economici e sociali legati al cosiddetto trasporto di emigrazione1. A questi studi, effettuati prevalentemente grazie a documentazione prodotta dalle autorità marittime, dalle prefetture e dai ministeri preposti alla regolamentazione dei trasporti via mare, si sono affiancati negli anni lavori incentrati sulla dimensione soggettiva del viaggio per mare. Questi ultimi hanno avuto come riferimento la produzione letteraria degli scrittori di professione, più o meno noti, che avendo vissuto in prima persona l’esperienza del viaggio transoceanico, si sono poi cimentati in quello che può considerarsi un vero e proprio genere letterario2; così anche la sterminata produzione autobiografica e memorialistica della gente comune che per motivazioni anche molto differenti si è trovata ad attraversare l’oceano, anche più volte, negli ultimi centocinquant’anni3.

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Il lavoro degli italiani all’estero nell’Esposizione internazionale di Torino del 1911

Il Cinquantenario dell’Unità d’Italia (1911) e l’emigrazione

a cura di Giovanni Pizzorusso

 

Patrizia Audenino

 

Il lavoro degli italiani all’estero nell’Esposizione internazionale di Torino del 1911

 

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1. – L’Italia in mostra

Per celebrare i cinquant’anni dell’unificazione del paese, vennero progettate nel 1911 tre esposizioni, rispettivamente a Torino a Firenze e a Roma, in modo da distribuire equamente fra le tre successive capitali del nuovo regno le occasioni di festeggiamento e, probabilmente, di richiamo turistico e di conseguente vivacizzazione economica. Ciascuna delle tre esposizioni venne dedicata a un tema dominante, che in qualche modo intendeva riflettere le vocazioni culturali e le caratteristiche economiche di ciascuna città: a Roma si sarebbero allestite una mostra archeologica, una artistica e un’altra etnografica, a Firenze una mostra del ritratto, corredata da mostra floreale e da un’esposizione internazionale di orticoltura. Mentre a Torino spettò di rappresentare i progressi dell’industria e del lavoro, che sancivano il nuovo ruolo di capitale industriale d’Italia, assunto dal capoluogo sabaudo1.

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L’Abruzzo migrante dall’Unità d’Italia alla Grande Guerra

Modelli Regionali di Emigrazione

 

Piero Berardi

 

L’Abruzzo migrante dall’Unità d’Italia alla Grande Guerra

 

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1. – Il territorio e la sua economia

Gli studi sul Mezzogiorno d’Italia da qualche decennio hanno rivalutato le forme più mature dei vari aspetti della storia locale inserendoli nel più ampio ambito della storia nazionale1. In tale contesto si inquadra la storia dell’emigrazione regionale, che contribuisce ad analizzare la realtà locale dal punto di vista economico, culturale e sociale2.

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Il centenario di un cinquantenario: un’introduzione


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Il Cinquantenario dell’Unità d’Italia (1911) e l’emigrazione

a cura di Giovanni Pizzorusso

 

Giovanni Pizzorusso

Il centenario di un cinquantenario: un’introduzione

 

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Oltre il loro aspetto celebrativo, gli anniversari hanno certamente l’effetto di far riflettere gli storici di professione e, auspicabilmente, i loro lettori e commentatori riguardo al passato del loro paese. In vista del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ci è venuta la curiosità di vedere come è stato considerato il fenomeno migratorio italiano nelle occasioni commemorative precedenti che, come è noto, seguono un ritmo cinquantennale. Il tema delle migrazioni da e in Italia, pur se attualmente risuona quasi quotidianamente nel bombardamento mediatico ed è senz’altro al centro del dibattito politico, non è di quelli che abbiano trovato nella storiografia patria una presenza costante, come è rivelato tuttora dai testi di storia per la scuola oppure dagli insegnamenti universitari. Un tema minore, si direbbe, ad onta della sua permanente centralità nella storia della società italiana. Inoltre la tradizionale, pur se ormai obsoleta, considerazione delle migrazioni come una fuga dalla povertà ne fa un tema poco attraente in un’occasione commemorativa, in un momento di esaltazione delle patrie glorie. Se però gli anniversari sono momenti di bilancio e di revisione storiografica, soprattutto nella prospettiva di valutare la diffusione di un tema nella coscienza storica collettiva, non ci pare allora inutile fare almeno un piccolo e limitato test per vedere se e quanto il tema migratorio sia stato presente nelle occasioni cinquantennali.

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“ … noi qua stiamo tutti bene”. Lettere di emigranti bergamaschi 1959-1972

“ … noi qua stiamo tutti bene”. Lettere di emigranti bergamaschi 1959-1972
di Ettore Janulardo

 

 

Forma di comunicazione storica, la lettera dell’emigrante si declina in una pluralità di momenti episodici sottesi da una comune logica: avvicinare i lontani, rendere presenti e tangibili gli assenti, o almeno la carta da loro vergata. Struttura mitopoietica del contatto – della negazione-riaffermazione della lontananza – le lettere dall’emigrazione mutano senza trasformarsi, inglobando in un procedere descrittivo immutabile orizzonti invisibili, non descritti né afferrati: viaggi di carta, ove è la carta – forse più ancora delle persone – a viaggiare.

Le lettere che qui si presentano sono scritti di emigranti bergamaschi residenti in diverse aree europee ed extra-europee, negli anni tra il 1959 e il 1972[1]. Di diverso tono e spessore, talvolta lunghe e accorate, a volte brevi e improntate a un forte spirito attivo – disbrigo di pratiche burocratiche, richiesta di favori o di oggetti da ricevere nella nuova terra di soggiorno – costituiscono nel loro insieme una geografia socio-economica, ma anche storica e linguistica, dell’emigrazione italiana recente, spesso proveniente da aree che, in tempi a noi vicini, sono diventate terra d’immigrazione e di difficile convivenza con l’“altro”.

All’interno di questo territorio lombardo, aree di difficile accessibilità – come ad esempio la Valle di Scalve situata all’estremità nord-orientale della provincia di Bergamo, di cui rappresenta oltre il 5% del territorio, racchiusa tra monti che superano i 2.000 metri – si servono per secoli dell’apporto fondamentale di donne e bambini nell’ambito di un precario equilibrio economico tra attività agricola, silvo-pastorale e mineraria, usufruendo, nel corso della loro storia anche recente, della valvola di sfogo costituita dall’emigrazione: si ricordano, per la prima metà del XIX secolo, movimenti migratori di minatori e di operai locali diretti verso il Regno di Sardegna, in una dinamica in cui gli “spostamenti a medio raggio s’innestano su una realtà fatta di migrazioni periodiche a breve raggio”[2], essenzialmente per le attività estive delle aziende agricole della pianura. Nell’ambito internazionale, Svizzera, Francia, Belgio, nonché Africa, America (meridionale e settentrionale) e Australia, rappresentano mete tipiche dell’emigrazione bergamasca.

 

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