Tra le due Sponde

 Joseph Tusiani tra le due sponde dell’oceano, a cura di Antonio Motta e Cosma Siani, “Il Giannone”, 5, 9-10 (2007) San Marco in Lamis, Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore “Pietro Giannone” – Centro di Documentazione Leonardo Sciascia/Archivio del Novecento, 2007, 401 pp.

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Modelli regionali di emigrazione

Appunti sul fenomeno migratorio in Campania

La Campania ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero: la cosiddetta “grande emigrazione”, a cavallo tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, e l’emigrazione del secondo dopoguerra, stimolata soprattutto dalla domanda di manodopera dei paesi latinoamericani (in particolare Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela) e dei paesi del Nord Europa. L’emigrazione campana nel corso degli anni Cinquanta ha cambiato sostanzialmente la sua direzionalità, in quanto, da una parte, si sono affievoliti progressivamente i flussi verso le Americhe e, dall’altra, sono cresciuti di molto quelli diretti verso l’Europa settentrionale.
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Gli italiani in Brasile – III° parte

La grande emigrazione verso il Brasile

E’ invalso da tempo l’uso di definire gli anni dal 1870 al 1915 come quelli della “grande emigrazione” italiana. Si tratta infatti di un periodo, nel quale gli agenti d’immigrazione delle due Americhe trovano una forte rispondenza nel mercato delle braccia italiane e nel quale reti informali (familiari, comunali e persino provinciali) provvedono un continuo ricambio di partenti. In tale periodo si possono distinguere tre fasi: la prima, che si protrae dal 1870 al 1890, vede la preminenza dell’Argentina come meta migratoria; la seconda, che copre quasi tutto l’ultimo decennio del secolo, assegna al Brasile la palma di paese preferito; infine a partire dal 1898 l’irrobustirsi del flusso dall’Italia meridionale trasforma gli Stati Uniti nell’America per eccellenza, ma non dimentica neanche gli altri paesi americani.
Il Brasile è quindi la meta principale dal 1890 al 1898, ma anche nella prima e nella terza, delle fasi appena descritte, attrae una cifra non disprezzabile d’immigrati italiani. Questi tendono inoltre a stabilirsi nella nuova patria, in aperto contrasto con quanto avviene nel Nord America. Vedremo più avanti ragioni e caratteristiche di tale sviluppo. Per il momento è interessante notare come l’emigrazione italiana verso il Brasile tra il 1870 e la grande guerra possa essere ulteriormente suddivisa in base alle aree di arrivo e alle occupazioni prescelte dagli immigrati. Tra il 1876 e il 1896 un’immigrazione eminentemente agricola porta gli italiani a dissodare le terre delle province, poi stati, di Santa Caterina, Paraná e Rio Grande do Sul. Dopo il 1885 e almeno sino al 1901 molti si recano a coltivare il caffè nello stato di San Paolo: parte di questi emigranti rientra poi in Italia; altri preferiscono restare, ma rifluiscono lentamente verso i centri urbani. Questo abbozzo di filone urbano-centrico si protrae nel primo quarto del secolo e trova sbocchi secondari negli stati di Espirito Santo e Minas Gerais: anche in queste zone e anche nel Novecento, però, gli impieghi agricoli affiancano sempre quelli industriali o commerciali.

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Per una storia politica dell’emigrazione

Emigrazione e terrorismo

Il terrorismo politico rappresenta un capitolo a parte nella storia dell’emigrazione, poco esplorato e dai connotati instabili, ma sicuramente non marginale, come dimostra anche la sua incombente presenza sulla cronaca quotidiana. Poiché la vicenda del terrorismo italiano ha ormai concluso un suo ciclo storico, che prescinde dalle residuali parentele con gruppi di fuoco attivi in anni più recenti, è forse possibile suggerire alcune ipotesi interpretative, senza la pretesa di giungere a conclusioni che avranno bisogno di un più lungo periodo di maturazione e di ben altro materiale documentario.
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Gli Italiani in Brasile – II° parte

I prodromi della grande immigrazione (1848-1870)

Nonostante le preoccupazioni di Gaetano Bedini la presenza italiana in Brasile non aumenta tra la fine degli anni quaranta e gli anni sessanta dell’Ottocento, né i pochi immigrati italiani attirano l’attenzione degli evangelizzatori protestanti. Inoltre, negli stessi decenni, l’attività politica dei nostri esuli diminuisce notevolmente nell’impero luso-americano: il baricentro dell’emigrazione politica si sposta infatti verso Buenos Aires e New York.

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Per una storia politica dell’Emigrazione

L’emigrazione fascista e neofascista nel secondo dopoguerra (1945-1985)

1. Premessa
Fino ad alcuni anni fa in una rassegna sull’emigrazione politica italiana l’inclusione di un saggio dedicato agli espatri dei fascisti dopo il 1945 e al ruolo da essi svolto all’estero, nelle comunità di connazionali, sarebbe probabilmente stata considerata una bizzarria.

Dei fascisti emigrati si erano infatti perse completamente le tracce già pochi anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, quando la vittoria democristiana del 18 aprile 1948 sancì la definitiva chiusura della resa dei conti con il fascismo in tutte le sue articolazioni legali e non (giustizia sommaria, processi per collaborazionismo, epurazione degli apparati dello stato). L’anticomunismo divenne la cifra dei nuovi governi centristi e l’antifascismo fu costretto sempre più sulla difensiva. Le responsabilità e le colpe individuali erano già state cancellate, in nome della pacificazione nazionale, dall’amnistia del giugno 1946; quelle collettive del paese durante il fascismo furono rimosse.
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