Per una storia dell’emigrazione italiana in Africa

Cercherò di esporre i caratteri fondamentali dell’emigrazione italiana in Africa dall’inizio dell’Ottocento fino ai giorni nostri, prendendo in considerazione dapprima l’andamento generale del fenomeno e poi alcuni casi geografici specifici (Tunisia, Egitto e Libia).

Innanzitutto guardiamo alla consistenza del fenomeno e tracciando un primo quadro comparativo con l’emigrazione italiana direttaverso il continente americano e verso il resto d’Europa: nel periodo del «grande esodo», tra il 1876 ed il 1915, quando ad espatriare furono in 14 milioni, il 54,5% si diresse in America, il 44% in Europa, e solo l’1,5%, pari a 210 mila persone, in Africa; tra il 1916 ed il 1942, la percentuale di coloro che emigrano nel continente africano raddoppiò, passando al 3%, corrispondente però solo a 120 mila individui a fronte di un numero di espatri di poco superiore ai 4 milioni, mentre il 51,5% si trasferì nel resto d’Europa ed il 44% nelle Americhe; infine, tra il 1946 ed il 1976, quando dalla penisola se ne andarono quasi 7 milioni e mezzo di italiani, il 68,5% si recò in Europa, il 25% in America, e solo l’1%, pari a 75 mila, in Africa.

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Gli italiani in Brasile – IV° parte

Le trasformazioni politiche del Brasile

Nel 1888 il regime politico brasiliano cambia radicalmente. Pedro II si reca in Europa e nel mese di marzo la figlia Isabella, che regge l’impero in assenza del padre, abolisce definitivamente la schiavitù. L’ira dei grandi possidenti terrieri non è probabilmente sufficiente a motivare una sollevazione politica, anche perché la decisione era prevista da tempo. Infatti il ruolo e la visibilità del partito repubblicano e del movimento abolizionista erano divenuti sempre più notevoli. Tuttavia il malumore dei grandi proprietari si fonde con le rivendicazioni dell’esercito, con lo scontento di molti maggiorenti per l’inefficienza del gioco dei partiti – sino ad allora mediato dall’imperatore, che, però, adesso è malato – e con la scarsa simpatia della Chiesa cattolica per una casa regnante che vuole leggi favorevoli alla libertà di culto, alla laicizzazione della scuola e al matrimonio civile. Le diverse componenti della protesta si coagulano e portano alla rivoluzione del 15 novembre 1889 e all’instaurazione della repubblica. Il generale Manuel Deodoro da Fonseca diviene il primo presidente brasiliano e inaugura la stagione dei capi di stato incapaci dal punto di vista amministrativo, ma proni davanti all’esercito e ai grandi possidenti. In compenso il nuovo regime penalizza la gerarchia cattolica, che, autorizzata dalla Santa Sede, avvia nel dicembre del 1889 segreti pourparlers, ma non riesce a evitare la separazione tra Chiesa e Stato.

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Modelli regionali di emigrazione

Appunti sul fenomeno migratorio in Campania

La Campania ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero: la cosiddetta “grande emigrazione”, a cavallo tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, e l’emigrazione del secondo dopoguerra, stimolata soprattutto dalla domanda di manodopera dei paesi latinoamericani (in particolare Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela) e dei paesi del Nord Europa. L’emigrazione campana nel corso degli anni Cinquanta ha cambiato sostanzialmente la sua direzionalità, in quanto, da una parte, si sono affievoliti progressivamente i flussi verso le Americhe e, dall’altra, sono cresciuti di molto quelli diretti verso l’Europa settentrionale.
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Gli italiani in Brasile – III° parte

La grande emigrazione verso il Brasile

E’ invalso da tempo l’uso di definire gli anni dal 1870 al 1915 come quelli della “grande emigrazione” italiana. Si tratta infatti di un periodo, nel quale gli agenti d’immigrazione delle due Americhe trovano una forte rispondenza nel mercato delle braccia italiane e nel quale reti informali (familiari, comunali e persino provinciali) provvedono un continuo ricambio di partenti. In tale periodo si possono distinguere tre fasi: la prima, che si protrae dal 1870 al 1890, vede la preminenza dell’Argentina come meta migratoria; la seconda, che copre quasi tutto l’ultimo decennio del secolo, assegna al Brasile la palma di paese preferito; infine a partire dal 1898 l’irrobustirsi del flusso dall’Italia meridionale trasforma gli Stati Uniti nell’America per eccellenza, ma non dimentica neanche gli altri paesi americani.
Il Brasile è quindi la meta principale dal 1890 al 1898, ma anche nella prima e nella terza, delle fasi appena descritte, attrae una cifra non disprezzabile d’immigrati italiani. Questi tendono inoltre a stabilirsi nella nuova patria, in aperto contrasto con quanto avviene nel Nord America. Vedremo più avanti ragioni e caratteristiche di tale sviluppo. Per il momento è interessante notare come l’emigrazione italiana verso il Brasile tra il 1870 e la grande guerra possa essere ulteriormente suddivisa in base alle aree di arrivo e alle occupazioni prescelte dagli immigrati. Tra il 1876 e il 1896 un’immigrazione eminentemente agricola porta gli italiani a dissodare le terre delle province, poi stati, di Santa Caterina, Paraná e Rio Grande do Sul. Dopo il 1885 e almeno sino al 1901 molti si recano a coltivare il caffè nello stato di San Paolo: parte di questi emigranti rientra poi in Italia; altri preferiscono restare, ma rifluiscono lentamente verso i centri urbani. Questo abbozzo di filone urbano-centrico si protrae nel primo quarto del secolo e trova sbocchi secondari negli stati di Espirito Santo e Minas Gerais: anche in queste zone e anche nel Novecento, però, gli impieghi agricoli affiancano sempre quelli industriali o commerciali.

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L’Emigrazione umbra nel secondo dopoguerra

“L’Emigrazione umbra nel secondo dopoguerra. Foto, documenti e testimonianze della comunità di Fossato di Vico”.

Catia Monacelli e Nicola Castellani, con la collaborazione di Daniela Menichini, Editoriale Umbra, Foligno, 2008.

 Martedì 12 agosto, alle 17,30, sarà presentato per la prima volta, nell’ambito delle manifestazioni estive promosse dall’Amministrazione di Fossato di Vico, l’interessante volume dedicato a “L’Emigrazione umbra nel secondo dopoguerra. Foto, documenti e testimonianze della comunità di Fossato di Vico”, per i tipi dell’Editoriale Umbra. Insieme agli autori Catia Monacelli, Nicola Castellani e Daniela Menichini, ne parlerà lo storico Michele Colucci, esperto dei fenomeni migratori ed autore di numerosi saggi sul tema. Una ricerca originale che documenta la storia dell’emigrazione umbra nel secondo dopoguerra, ed in particolare il caso della comunità di Fossato di Vico, che insieme agli altri centri della dorsale appenninica, tra i quali Gualdo Tadino, Sigillo, Costacciaro e Gubbio, ha visto l’esodo d’intere generazioni, speranzose di migliorare le proprie condizioni economiche e sociali.

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Per una storia politica dell’emigrazione

Emigrazione e terrorismo

Il terrorismo politico rappresenta un capitolo a parte nella storia dell’emigrazione, poco esplorato e dai connotati instabili, ma sicuramente non marginale, come dimostra anche la sua incombente presenza sulla cronaca quotidiana. Poiché la vicenda del terrorismo italiano ha ormai concluso un suo ciclo storico, che prescinde dalle residuali parentele con gruppi di fuoco attivi in anni più recenti, è forse possibile suggerire alcune ipotesi interpretative, senza la pretesa di giungere a conclusioni che avranno bisogno di un più lungo periodo di maturazione e di ben altro materiale documentario.
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Per una storia politica dell’Emigrazione

L’emigrazione fascista e neofascista nel secondo dopoguerra (1945-1985)

1. Premessa
Fino ad alcuni anni fa in una rassegna sull’emigrazione politica italiana l’inclusione di un saggio dedicato agli espatri dei fascisti dopo il 1945 e al ruolo da essi svolto all’estero, nelle comunità di connazionali, sarebbe probabilmente stata considerata una bizzarria.

Dei fascisti emigrati si erano infatti perse completamente le tracce già pochi anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, quando la vittoria democristiana del 18 aprile 1948 sancì la definitiva chiusura della resa dei conti con il fascismo in tutte le sue articolazioni legali e non (giustizia sommaria, processi per collaborazionismo, epurazione degli apparati dello stato). L’anticomunismo divenne la cifra dei nuovi governi centristi e l’antifascismo fu costretto sempre più sulla difensiva. Le responsabilità e le colpe individuali erano già state cancellate, in nome della pacificazione nazionale, dall’amnistia del giugno 1946; quelle collettive del paese durante il fascismo furono rimosse.
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Gli Italiani in Brasile – II° parte

I prodromi della grande immigrazione (1848-1870)

Nonostante le preoccupazioni di Gaetano Bedini la presenza italiana in Brasile non aumenta tra la fine degli anni quaranta e gli anni sessanta dell’Ottocento, né i pochi immigrati italiani attirano l’attenzione degli evangelizzatori protestanti. Inoltre, negli stessi decenni, l’attività politica dei nostri esuli diminuisce notevolmente nell’impero luso-americano: il baricentro dell’emigrazione politica si sposta infatti verso Buenos Aires e New York.

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