Conclusione in forma di bilancio

Il Cinquantenario dell’Unità d’Italia (1911) e l’emigrazione
a cura di Giovanni Pizzorusso
Emilio Franzina
Se è vero, come ultimamente è stato spesso notato, che scomparso quasi del tutto lo spirito nazionalistico del 1911 e convertitisi in inquietudine diffusa gli slanci ottimistici del 1961, sarebbe difficile poter oggi celebrare in modo condiviso un anniversario come il 150° dell’Unità d’Italia, ciò non toglie che sia consentito ed anzi quasi doveroso sfruttare una così importante ricorrenza per riflettere su quanti e quali siano stati, nel tempo o almeno sino a vent’anni fa, i fattori e le ragioni, tuttora ben intuibili o comunque facilmente decifrabili, di una coesione nazionale poi revocata in forse da più parti ed erosa, di fatto, dall’evoluzione e dalle trasformazioni di un organismo economico paradossalmente impensabile finanche nei suoi sbocchi attuali senza quelle premesse e quegli antefatti che condussero pure da noi all’impianto di un moderno Stato nazione.

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Francesco Coletti e l’emigrazione

Il Cinquantenario dell’Unità d’Italia (1911) e l’emigrazione

a cura di Giovanni Pizzorusso

Andreina de Clementi

 

Francesco Coletti e l’emigrazione

 

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L’inizio del primo grande ciclo migratorio risaliva agli anni settanta dell’Ottocento, ma, doppiato il nuovo secolo, le grandi inchieste sociali dell’epoca continuavano a dedicare all’emigrazione italiana appena qualche sguardo frettoloso; soltanto dopo il primo decennio del Novecento fu possibile disporre di una intera monografia. La dobbiamo a Francesco Coletti.

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La storia italiana è da sempre (anche) una storia di migrazioni

 
Mercoledì 16 viene inaugurata a Torino la mostra Fare gli italiani.Tra le  tredici “isole tematiche”, dedicate ad approfondire i fenomeni che maggiormente hanno influito sulla storia italiana, sono per la prima volta inseriti a pieno titolo i movimenti migratori.

Il paradigma migratorio italiano per cifre, durata, varietà di mete e di provenienze rappresenta  un fenomeno complesso che non ha ancora  avuto un’adeguata collocazione nel discorso pubblico italiano pur avendo riscosso negli ultimi anni una grande attenzione nella storiografia.
L’Italia ha visto varcare i confini nazionali 29 milioni di italiani, non tenendo conto dei rientri e delle migrazioni interne, dal momento dell’Unificazione del paese a oggiAggiungi un appuntamento per oggi. L’Italia ha partecipato con i suoi movimenti di popolazione alla prima e alla seconda globalizzazione, realtà che ha visto, e che vede, uomini e donne dalle più diverse origini emigrare nei più diversi contesti. Ma sono ancora numerosi gli stereotipi che ne accompagnano la storia. L’immaginario delle migrazioni italiane, perlomeno a livello pubblico, è rimasto a lungo legato alla grande emigrazione e alle Americhe, e solo in anni recenti l’attenzione si è estesa alle migrazioni postbelliche e all’Europa. Ci si è dimenticati spesso che tutte le regioni italiane sono state toccate dai fenomeni migratori che si sono divisi equamente tra Europa, paesi oltreoceanici  e Mediterraneo.

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Saluto alla bandiera Americana

L’immagine dell’“altro” nel rapporto tra immigrati italiani e società tedesca. Percezioni a confronto tra Otto e Novecento.

L’immagine dell’“altro” nel rapporto tra immigrati italiani e società tedesca. Percezioni a confronto tra Otto e Novecento.
Elia Morandi

 

Fonti e problemi di metodo

 

Quando, qualche tempo fa, un collega mi propose di iniziare ad occuparmi anche della questione dell’immagine dell’“altro” nel rapporto tra Gastarbeiter[1] italiani e società tedesca, mi sembrò una sfida interessante da cogliere, pur sapendo peraltro che non sarebbe stato un compito facile. Un po’ perché mi ero occupato solo tangenzialmente della questione[2], ma soprattutto perché, pur trovando l’argomento affascinante, lo ritenevo anche di assai difficile “lettura”. E il perché è presto detto. E’ innegabile che la tematica in questione, per i riflessi che ha sulle prospettive e le opportunità dei migranti nel paese ospite, sia ormai ineludibile in ogni discorso serio sull’emigrazione, ma come affrontarla? March Bloch nel suo Apologia della storia sosteneva che “i fatti umani sfuggono alle determinazioni matematiche” e che “dov’è impossibile calcolare, bisogna suggerire”[3]. Ora, mi sembra che nel caso dell’argomento che qui ci interessa la necessità di “suggerire” sia davvero massima. Che cosa si intende per percezione dell’“altro”? Esiste la percezione dell’“altro”, uguale per tutti, o si tratta di una faccenda più soggettiva? E ancora, chi è che percepisce chi? Se sono gli italiani a percepire i tedeschi, di quali italiani si tratta? Di quelli di Trento o di quelli di Palermo? O magari di quelli di Palermo emigrati a Monaco di Baviera? E quali tedeschi percepiscono? Quelli conosciuti sui libri o il collega alla catena di montaggio della Volkswagen? E se sono i tedeschi a percepire gli italiani, di che tedeschi si tratta? Del proprietario di un’azienda o di un operaio? Di un protestante del nord del paese o di un cattolico del sud? Di una persona che parla per sentito dire o per esperienza diretta? Può inoltre cambiare la percezione? E se cambia, come cambia?

 

 

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